Gli episodi di esplosione della volatilità ci obbligano, quindi nostro malgrado, ad un fastidioso esercizio di cui vorremmo sicuramente fare a meno: riflettere circa la bontà del nostro modo di operare sui mercati.
I mercati finanziari sono un luogo estremamente democratico, tollerante ed inclusivo. In fondo l'unico sforzo che ci è richiesto è quello di decidere il modo in cui starci.
Sarebbe molto pertinente approfondire, ma tralascio per necessità di sintesi, come sia accaduto che un luogo per lunghissimo tempo sostanzialmente inospitale, ombroso e con rilevanti barriere all'ingresso (soprattutto in termini di capitale necessario per operare) si sia velocemente trasformato in un ambiente sempre equatoriale, pieno di luce, accessibile e senza segreti.
Il fenomeno è perfettamente in linea con l'affermazione della globalizzazione da una parte e dell'avvento di internet e dei social media dall'altra. Una prova potrebbe essere la circostanza che io sia qui a scrivere.
Una tendenza oggettivamente positiva e coerente con la trasversale ed inesorabile tendenza a rendere tutto accessibile: sempre ed a chiunque. A qualunque costo (sempre più basso).
Il trading on line per tutti è uno dei frutti di questo complesso albero, cresciuto molto velocemente se paragonato ai tempi che, nei decenni passati, si rendevano necessari per portare alla portata di chiunque una nuova tendenza strutturale.
Tuttavia, a volere trovare un lato debole alla suddetta tendenza non ho dubbi nel citare la tumultuosità con cui i fenomeni si affermano. Questa modalità mi porta alla mente, per restare in ambito finanziario, il processo di integrazione economico-monetario avvenuto in Europa. Un fenomeno certamente apprezzabile e portatore di molte suggestioni, sogni e speranze sul piano sociale.
Tuttavia, come l'integrazione monetaria in Europa si è chiaramente dimostrata anacronistica rispetto alla necessaria, quanto insufficiente, integrazione economica/politica/finanziaria/sociale, similmente la finanza per tutti ha generato qualche effetto collaterale evidente a tutti.
Il termine “evidente” è quantomai preciso e pacificante perché poggiando su dati oggettivi permette di fare considerazioni con la tranquillità di non essere contraddetto.
L'Italia ha la virtù di essere uno dei paesi meno indebitato al mondo. Insieme ai giapponesi siamo i migliori risparmiatori sulla Terra. Tuttavia il rovescio della medaglia è che, tra i paesi OCSE per esempio, siamo all'ultimo posto in tema di educazione finanziaria.
Come cartina di tornasole al riguardo potrebbe essere citata la circostanza che abbiamo 1.300 miliardi di euro parcheggiati sui conti correnti per soddisfare l'esigenza del “non si sa mai”, più della metà del patrimonio ingessato in immobili mentre l'accrescimento della ricchezza anno su anno deriva quasi esclusivamente dal nuovo risparmio accantonato e non dall'investimento dello stock di capitale. In questo i virtuosi sono i paesi dell'Europa del nord.
Ancora, su scala mondiale siamo tra i paesi che più spende i soldi in giochi e lotterie. Con la tolleranza compiaciuta dello Stato che incassa in tasse ogni anno circa 8 miliardi di euro. Praticamente una mezza finanziaria.
Un tassello del puzzle è anche il trading on line circa il quale possiamo partire da un dato non confutabile. Circa un 75% dei traders non professionisti perde soldi. Come nella Settimana Enigmistica esiste il gioco che invita ad unire i puntini per scoprire la vignetta che di li a poco si materializzerà sotto i nostri occhi, allo stesso modo i broker, analizzando il quadro complessivo, avranno fatto 2+2 individuando un business a scarso impiego di capitale fisso e con il tacito benestare di un insufficiente quadro normativo di riferimento.
Allora, se un calo del ftse mib del 14% a spanne, consumatosi fulmineamente, manda in paranoia i traders qualche domanda è lecita porsela.
Una doverosa distinzione va subito fatta tra chi investe con orizzonte temporale da cassettista (leggasi lungo) ed allora, se comunque si ha una strategia ugualmente chiara, il recente calo non dovrebbe togliergli il sonno anzi probabilmente è occasione per fare fine tuning.
Se invece si facesse trading di breve e non si avesse un piano B rispetto alla continua marcia dei mercati nella nostra direzione abbiamo qualche problema. Col calo di questi giorni gli stop loss ed i trailing stop dovrebbero essere scattati a piene mani. E' Così? Se non avevamo stop loss di alcun tipo, che avrebbero rappresentato la prova che qualche ragionamento sul contenimento del rischio lo abbiamo imbastito, allora c'è da fare una seria riflessione. Ma di quelle grosse, marzulliane (per i più giovani cerare su Google Gigi Marzullo) direi. Siamo investitori o scommettitori?
La differenza è facile e pur sostanziale. Investe chi si pone l'obiettivo di una rivalutazione del capitale coerente con il contesto economico/finanziario del momento e con una idea chiara di quale sia l'attitudine a mettere in discussione il capitale.
Ciò porta a ragionare di quanto si possa ragionevolmente aspettare di conseguire come rendimento, tenuto conto della propria capacità finanziaria, attitudine a sopportare il rischio/volatilità, orizzonte temporale ed importanza dell'obiettivo.
Questo è compatibile col comprare il titolo x sul ftse mib e sperare di guadagnare? Gli obiettivi da investitore dipendono da ciò?
A me pare che le statistiche sul trading on line siano coerenti con le caratteristiche dell'investitore medio così come dipinto dalle statistiche prima ricordate. Numeri che narrano, seppure da angolazioni di volta in volta diverse, di uno stesso fenomeno.
Allora se stiamo demandando al trading on line la costruzione del nostro futuro, più o meno prossimo, dobbiamo prima accertarci di essere stabilmente nella élite del 25% circa che fa costantemente crescere il proprio capitale. Facciamo parte di questi? Se la risposta fosse no, necessariamente dobbiamo adattare il nostro approccio a questo tipo di attività, a tutti gli effetti fattibile in modo imprenditoriale, considerandola per quel che è, giostra fonte di sicure emozioni, il cui costo del biglietto da pagare per parteciparvi sia assolutamente compatibile con la nostra situazione finanziaria.
Per coloro che stanno nella cerchia del 25% bisogna ancora andare a fare le pulci perchè si potrebbe farne parte come trader marginale, cioè sempre prossimo al proprio break even point realizzando magari 1% all'anno o come fuoriclasse raddoppiando il capitale ad ogni cambio di calendario appeso al muro.
Detto ciò, è disponibile una polizza assicurativa molto conveniente il cui premio si paga non tutto in un'unica soluzione ma frazionato giornalmente. Questa copertura anche se non ci garantisce di tradare senza perdere i soldi permette di limitare drasticamente il rischio.
Non è distribuita da alcuna compagnia di assicurazione ma ogni trader può attivarla in autonomia: si chiama Money Management, cioè la quantità di equity line che sono disposto a mettere a rischio in ogni operazione. Tutti lo conoscono e probabilmente viene nausea al solo sentirlo, ma pochi evidentemente lo praticano efficacemente. Perché? Per avere la risposta bisogna ricominciare a leggere da qualche capoverso addietro. Cioè torniamo sempre al punto di partenza.
La disciplina è difficile da tenere, ma fa la certamente la differenza tra fallire e perdere in modo controllato.
Soffermiamoci su un aspetto pratico del concetto. Se ci ponessimo lo 0,5% del nostro capitale come massima perdita che sono disposto a sopportare per ogni trade, nella apocalittica circostanza che sbagliassimo ogni operazione impiegheremmo 1.840 operazioni per vedere bruciato il nostro conto di trading.
Lo so che lo 0,5% di capitale genera una size che potrebbe non regalare emozioni sufficienti, ma occorre farsi una ragione che investire è terribilmente noioso. E' scommettere che regala emozioni a spaglio. E' una scelta di campo da fare sin da subito.
Se la vogliamo vedere da un'altra angolazione diciamo che se la mia tecnica di trading permette di realizzare, al netto delle perdite, 4% in un mese posso anche decidere di fermarmi per il resto dell'anno perché avrei già conseguito il doppio di quello che un titolo di stato italiano mi darebbe in 30 anni, quattro volte un BTP a 10 anni e così via. Basta osservare la yield curve dei nostri titoli di stato.
Il segreto sta nell'interesse composto che agisce in modo benefico sia al rialzo che al ribasso. Al ribasso lo 0,5% di perdita massima consente di mettere a rischio una quantità nominale via via decrescente del mio capitale. Ciò che spiega i 1840 trades perdenti di fila necessari per azzerare un conto di trading.
Allo stesso modo in caso di crescita del capitale lo 0,5% messo a rischio sarà un valore monetario crescente. Messo su un piano cartesiano, con numero di trades sulle ascisse e capitale sulle ordinate, la faccenda si mostrerebbe con un andamento quasi asintotico rispetto alle ascisse in caso di perdite continue ed esponenziale in caso di continui trades vincenti.
Comunque il numero di 1840 è da considerarsi minimo perché se dovessi inanellare la serie catastrofica di loss da un livello di guadagno questo sarebbe più alto.
Soltanto questo accorgimento sarebbe sufficiente, ancora statisticamente, a garantirci che non perderemmo “mai” l'intero capitale. Perché? Perché difficilmente avremmo la tenacia e la forza di aprire 1840 operazioni mal concepite di fila, ci stancheremmo sicuramente prima rinunciando ad andare avanti e di fatto evitando l'azzeramento del conto.
La finanza comportamentale ha accertato che negli investitori il dolore che provoca una perdita “x” ha valore doppio rispetto ad una stessa “x” di guadagno. Questo porta ad una distorsione della realtà innanzitutto convincendoci che le cose siano andate peggio di quel che in realtà sono, ma anche a capire perché chi fa trading on line in modo non corretto e che stabilmente è tra il 75% dei perdenti mediamente non sia un investitore.
Se lo fosse, statistiche sulle performances alla mano, avrebbe già abbandonato il campo per l'insopportabilità procurata dal dolore delle perdite!